Marco Trabucchi è professore di neuropsicofarmacologia nell’Università Tor Vergata di Roma e Presidente della Associazione Italiana di Psicogeriatria, Direttore del gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia, con più di 20 volumi in ambito clinico e di oltre 570 lavori su riviste internazionali.
Il libro: “Aiutami a ricordare. La demenza non cancella la vita. Come meglio comprendere la malattia e assistere chi soffre” (2022) è un libro di carattere divulgativo dedicato a tutti quelli che si impegnano attorno al tema delle demenze (p. 10), rivolto cioè a tutta la rete di relazione e di cura stretta attorno a coloro che hanno perso la memoria, la capacità di interpretare la realtà, ma non di esprimere scelte legate al proprio vissuto più profondo; perciò, focus su cui l’autore pone l’attenzione del discorso è il contesto familiare, essendo questo il luogo dove i sintomi si manifestano primariamente e dove la persona riceve supporto sin dalle prime fasi della sua malattia (p. 119). Il libro si pone l’obiettivo dichiarato di offrire, soprattutto alla famiglia, strumenti di conoscenza e di supporto per gestire la vita segnata dall’esperienza della demenza (altrimenti quale altro sistema sarà in grado di lavorare accettando la fatica di Sisifo che spesso caratterizza l’impegno delle persone affette da demenza? (p. 119) L’approccio è chiaro sin dalle sue premesse: l’autore lascia a margine gli aspetti tecnico-scientifici della malattia, focalizzandosi su quelli filosofico-relazionali del rapporto tra l’ammalato e i suoi affetti, evidenziando come i gesti di una cura attenta e premurosa possano illuminare il dato biologico della malattia: le demenze in tutte le forme cliniche sono delle malattie, che hanno uno specifico assetto biologico, un insieme di sintomi e modalità specifiche di approccio. Il fatto che non possano essere guarite non vuol dire che non possano essere curate, riducendo il dolore fisico, la sofferenza psicologica (p. 75). L’autore passa in rassegna, molto sinteticamente ma in modo molto efficace, tutte le fasi della malattia, del dolore e della sofferenza annessa, sia dell’ammalato che del caregiver, dalle prime avvisaglie fino alle fasi terminali della malattia. Il suo è uno sguardo realista, ma anche aperto alla speranza, riposta, seppur nell’ineluttabilità ed ineludibilità della degenerazione cognitiva della malattia, anche negli incoraggianti progressi della ricerca. Per Trabucchi, gli strumenti della speranza sono innanzitutto la prevenzione (necessaria, se non per evitare, almeno per ritardare la comparsa della demenza attraverso l’adozione di uno stile di vita sano), pazienza, cura, informazione, verità e dialogo, che paradossalmente, in questi casi, si riduce ad un più profondo preverbale: la carezza, la parola gentile, una vicinanza forte e dolce (p. 45); per fare questo, Trabucchi rimarca l’importanza fondamentale dell’educazione all’attenzione all’ammalato da parte dei familiari e di tutta la comunità di vita in cui egli è inserito (si parla proprio di “città amica” (p. 66)), partendo proprio da quello che la persona riesce a comunicare di se, del suo vissuto, della sua malattia e della sua percezione.